Tramandare il fuoco
Cos’è il Parmigiano Reggiano? È il risultato di un legame profondo, naturale, tra uomo e territorio. È il prodotto di gesti antichi, sapienza, passioni che non hanno paragoni a livello internazionale. Come diciamo noi: il Parmigiano Reggiano «non si fabbrica, si fa».
Ecco gli ingredienti: un gusto inconfondibile e una storia millenaria, stratificata. Ma come sprigionare e raccontare tutta questa storia? È un antico patto fra l’uomo e la terra, ed è custodito in un rigoroso Disciplinare di produzione, che tutela il come, il quando, e i segreti di questa profonda relazione.
LA NASCITA DEL CONSORZIO
Uno degli snodi fondamentali di questa storia accade nei primi anni del Novecento. Con la nascita del Consorzio interprovinciale “Grana Tipico”, divenuto poi Consorzio del Formaggio del Parmigiano Reggiano, si è riusciti a unire le forze per tramandare, salvaguardare e rinnovare la tradizione di quello che non è soltanto un formaggio, ma è anche arte, sapienza e un vero e proprio simbolo della cultura contadina. Ma non ci si è fermati qui. L’obiettivo era anche aprire, al tempo stesso, un dialogo con il resto del mondo.
INSIEME
La prima data è il 1934: l’anno di costituzione del Consorzio Interprovinciale “Grana Tipico”. Nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova (territori dove l’industria casearia aveva un ruolo centrale nell’economia agricola) serpeggiava un’emergenza, e i rappresentanti delle province decisero di affrontarla uniti.
L’emergenza era la concorrenza delle diverse produzioni – e spesso imitazioni – nazionali e internazionali del Formaggio Grana che venivano volutamente confuse con il “Parmigiano” e il “Reggiano”, dove a una minore qualità corrispondeva anche un minor prezzo di vendita. La zona viveva già una depressione economica, che questo fattore rischiava di aggravarsi ulteriormente. Ecco che il 27 luglio 1934, le province fecero fronte comune dando vita al Consorzio Interprovinciale Grana Tipico, sottoscritto dai più importanti produttori dei quattro territori interessati, e poi, nel 1937, anche della provincia di Bologna a sinistra del Reno.
Nell’atto di fondazione, gli obiettivi principali sono due: la delimitazione della zona di produzione del grana tipico, e la distinzione del prodotto mediante la marchiatura delle forme. Questa viene eseguita sin da subito con il marchio ovale a fuoco “PARMIGIANO REGGIANO” – unendo i due termini “Parmigiano” e “Reggiano” che indicavano i territori geografici di origine – così da accertare la qualità, tutelare la denominazione e agevolare il commercio.
Una mossa che, dato anche il periodo di crisi mondiale, contrasta l’avvicinamento dei clienti ai prodotti contraffatti di bassa qualità.
Il 26 febbraio 1935, dopo i primi esperimenti, il Presidente del Consorzio parla in modo positivo dell’operazione di marchiatura, e ribadisce la necessità di perfezionare il controllo tecnico sul prodotto e la collaborazione tra le province. Viene poi votata all’unanimità la regola di marchiare soltanto i formaggi fabbricati dal 24 aprile al 31 ottobre di ogni stagione casearia.
In seguito alla Conferenza di Stresa del 1951, in cui le Denominazioni d’Origine dei formaggi furono riconosciute a livello internazionale, nel 1954 anche la legge italiana riconosce le denominazioni d’origine. È un momento fondamentale in cui si fa la storia: il precedente Consorzio Interprovinciale Grana Tipico del 1934 dà vita all’organismo che ne prende l’eredità, e ne continua i compiti istituzionali, pur cambiando nome tramite atto costitutivo, diventando il “Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano”.
Sono anni cruciali. Qui, vengono messe le basi per le attività dei decenni successivi. Gli obiettivi di base rimangono gli stessi: la tutela della Denominazione d’Origine e le politiche di agevolazione del commercio e del consumo difendendo le qualità e la tipicità del prodotto, consentendone una diffusione maggiore. Le mosse del Consorzio sono quelle di intervenire soprattutto sul Disciplinare di Produzione, ponendo alla base dell’azione consortile gli elementi distintivi del Parmigiano Reggiano tramite la stesura dello standard di produzione che, fin dalla prima stesura del 1955, riportava che per le bovine “l’alimentazione base è costituita da foraggi di prato polifita e di medicaio” e che “non è ammesso l’impiego di sostanze antifermentative”.
QUEL CHE NON CAMBIA
Che succede se mettiamo a confronto lo standard del formaggio Parmigiano Reggiano inserito nel DPR del 30 ottobre 1955, e quello contenuto nel Disciplinare di Produzione del 2002? Troviamo una serie di voci che non sono cambiate, o che sono cambiate solo parzialmente.
Il Consorzio, negli anni, ha messo al sicuro il Parmigiano Reggiano. Come? Attraverso le azioni di tutela, certo, ma soprattutto ha lavorato costantemente affinché migliorasse nei valori nutrizionali e nel sapore. Analisi, ricerche e studi hanno portato a un’ulteriore evoluzione di cui possiamo godere tutt’ora: semplicemente un formaggio più buono, equilibrato nei sapori, perfezionato fino a diventare quello che conosciamo.
Insomma, il Parmigiano Reggiano non è più prodotto come nove secoli fa. Eppure, mantiene ancora gli stessi ingredienti e lo stesso spirito: con le modifiche al Disciplinare si è fatto un passo verso la modernità, ma solo per mantenere nel tempo la grande identità e i valori di cui è portatore.
La qualità del Parmigiano Reggiano che mangiamo oggi è molto più alta, non è vero che una volta fosse più buono: si è affinato il gusto delle persone, ma anche le materie prime, e i metodi di produzione garantiscono una migliore resa finale del formaggio.
— Gianni Morini, battitore Consorzio Parmigiano Reggiano.
Il gusto per il formaggio è cambiato nel tempo proprio come le tecniche di produzione si sono ammodernate, sono diventate più precise e più veloci, ma con l’obiettivo di riuscire a eseguire questo passaggio senza toccare la profonda filosofia del Parmigiano Reggiano. Oggi è un po’ più grasso, meno salato, meno piccante, ma continua a essere fatto con latte crudo non refrigerato, non pastorizzato, consegnato fresco due volte al giorno. E, ovviamente, è ancora lavorato seguendo un sapere artigianale che nel tempo ha saputo affinarsi e adeguarsi alle mutate condizioni produttive, sapendo tramandare la cultura casearia distintiva.
LE MODIFICHE AL DISCIPLINARE
La tradizione di oggi è l’innovazione del passato.
— Mauro Pecorari, ufficio tecnico Consorzio Parmigiano Reggiano.
Il Disciplinare regola le consuetudini di produzione del Parmigiano Reggiano. È un codice vissuto in modo quasi sacrale, per cui le modifiche sono sempre state interpretate come momenti di cambiamento epocali. Ogni idea e ritocco ha richiesto una forte motivazione e un lavoro di grande collaborazione: è una faccenda pratica ma anche filosofica.
TERRE D’OMBRA E MARCHIATURA
In origine la crosta del Parmigiano Reggiano era di un colore molto scuro. Era un formaggio magro, la cui struttura era per lo più proteica e asciutta, e per questo doveva essere rivestito da una pasta protettiva che aiutava a trattenere all’interno della forma l’umidità, proteggendo la crosta da rischi di rottura per eccessiva disidratazione.
Questo processo si chiama cappatura: l’applicazione di una miscela di cui ogni casaro o magazziniere custodiva la propria ricetta segreta, generalmente ottenuta con argilla (terra d’ombra), olio di vinaccioli, cenere o carbone di legna (detto nerofumo). Il risultato era una consistenza argillosa che proteggeva l’interno e contemporaneamente copriva i difetti esterni.
Poi, col tempo, i magazzini di stagionatura sono cambiati, adottando un controllo della temperatura e umidità e migliorando l’ambiente di maturazione; inoltre, il Parmigiano Reggiano è diventato un po’ più grasso, riducendo la percezione dell’asciuttezza del formaggio. A questo punto, nella seconda metà del XX secolo, si dismette la terra d’ombra a favore di una crosta gialla, ottenuta naturalmente attraverso il processo di stagionatura.
Inoltre, poiché la preporzionatura era diventata ormai una consuetudine, era necessario venisse marchiata tutta la forma per identificare il formaggio al fine di evitare il rischio di frodi.
Così, nel 1964 viene attuata una riforma importante, decisa il 17 dicembre 1963, quando si discute di un nuovo metodo i cui esperimenti hanno dato buoni risultati: la marchiatura a incisione in tutto lo scalzo, tramite l’inserimento di una fascia marchiante. Ecco che dal 1 aprile 1964, tramite la fascia — inserita tra la fascera (stampo in legno col quale si dà forma alla massa caseosa fresca) e la forma — viene impressa indelebilmente sullo scalzo del formaggio la scritta a puntini Parmigiano Reggiano, ripetuta su tutta la superficie e composta da 9.824 piccoli punti, con il numero di matricola del caseificio, il mese e l’anno di produzione.
IL PARMIGIANO REGGIANO TUTTO L’ANNO
Arrivano gli anni Ottanta, e con loro alcune decisioni di estrema importanza. Una di queste, forse la più difficile, è quel tipo di decisione che in apparenza va “contro” la tradizione, ma che in realtà è un naturale risultato dei tempi. Un caso esemplare è quello del Vernengo.
Fino alla metà del decennio, il Parmigiano Reggiano era unicamente prodotto tra il 1 aprile e l’11 novembre: le date che aprivano e chiudevano l’annata agraria. Fino a quell’epoca, negli allevamenti, i parti dei vitelli erano concentrati in primavera e quindi la maggior produzione di latte coincideva con l’abbondanza dei foraggi nei campi.
Al cosiddetto Maggengo o formaggio di testa seguiva l’agostano, mentre il formaggio tardivo o di coda chiudeva in autunno il periodo produttivo.
In inverno si produceva, invece, il Vernengo. Un formaggio ottenuto da vacche a fine lattazione e nutrite con fieno in abbondanza, con un latte ormai meno ricco di elementi produttivi, il cui formaggio prodotto era qualitativamente più basso rispetto al Parmigiano Reggiano. I due, dal 22 maggio 1965, venivano appositamente differenziati marchiando il primo con la scritta “Vernengo di zona tipica”.
Ma col tempo, le impostazioni degli allevamenti con una moderna zootecnia hanno portato a una distribuzione dei parti e quindi della produzione di latte in tutto l’arco dell’anno. Le condizioni organizzative e igieniche delle stalle hanno fatto un salto di qualità, così la gestione e l’alimentazione delle vacche è migliorata durante tutto l’anno. Il Parmigiano Reggiano, quindi, si poteva produrre senza alcuna interruzione; l’unica stagionalità rimasta è legata alla calura dei mesi estivi, in cui le vacche, soffrendo il caldo, riducono sensibilmente la produzione. Nel 1984, quando la tradizionale distinzione ormai non serviva più, cessò la produzione del formaggio Vernengo.
Con gli anni Novanta arrivano nuove modifiche sostanziali. In quegli anni, l’obbligo del minimo di stagionatura per la marchiatura delle forme di Parmigiano Reggiano viene esteso a dodici mesi, mentre dal 1991 la denominazione d’origine del Parmigiano Reggiano viene acquisita anche dalla tipologia del Grattuggiato.
Arriviamo a un momento storico. Nel 1992, la Comunità Europea vara la fondamentale normativa sulle Denominazioni d’Origine Protetta (D.O.P.), che stabilisce le norme per riconoscere il legame tra alcuni prodotti alimentari e il loro territorio d’origine e ne protegge le denominazioni. Passiamo al 1996. Il 21 giugno, su proposta italiana, la Comunità Europea approva la registrazione della denominazione “Parmigiano Reggiano” comeD.O.P., ponendo le basi per la protezione della denominazione “Parmigiano Reggiano” nei Paesi europei aderenti, protezione che avrà la sua massima espressione nella sentenza “parmesan” della Corte di Giustizia Europea del febbraio 2008.
Le regole continuano, e nel nuovo millennio arrivano due norme importanti. Dal 2001, a ogni forma di Parmigiano Reggiano viene applicato un codice identificativo univoco tramite una placca di caseina aggiunta al momento della messa in fascera. Un’aggiunta che insieme alla marchiatura a fuoco e alla scritta a puntini sullo scalzo del formaggio rende inequivocabile la provenienza e la tracciabilità. Un modo per rendere ancor più incisiva, come si diceva negli anni Sessanta, la «la carta d’identità del Parmigiano Reggiano».
PROTEGGERE I SEGRETI
L’ultimo capitolo di questa storia di regole rivolte alla qualità, a una sorta di bellezza e tradizione, al sapore, arriva nel 2011. Si tratta dell’obbligo di confezionamento all’interno della zona di origine del Parmigiano Reggiano non solo per il grattugiato ma anche per le porzioni preconfezionate — con o senza crosta —. Così da migliorare la garanzia di qualità, tracciabilità e controllo su ciò che viene messo in commercio.
Per mantenere un sapore speciale, espressione del territorio d’origine e della sua cultura, l’unica via è proteggerlo, capirne il segreto e farlo evolvere attraverso modifiche del disciplinare che mantengano il solco della tradizione: una linea di marchi a fuoco, colori, nomi e regole che accompagnano e garantiscono questa evoluzione. Così da difendere, salvaguardare e aumentare sempre più la qualità e la storia di un prodotto che non è soltanto un “prodotto”, ma qualcosa che contiene la vita stessa dei luoghi, delle persone e degli animali che lo hanno custodito e fatto nascere: un formaggio che è un infinito stratificarsi di saperi, tradizioni, idee.